Avvocato dei Tribunali Ecclesiastici

  Professore Universitario e Presidente Nazionale dell’Associazione Giuriste Italiane (A.G.I.)

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“Eutanasia e rispetto della dignità della persona umana”

Eutanasia

La strana morte causata ad Eluana Englaro, avvenuta nel febbraio del 2009, ha scosso profondamente le coscienze della stragrande maggioranza degli Italiani, popolo profondamente cristiano e in particolare cattolico, legato alla dignità della persona umana. Ne sono derivate implicazioni etiche e politiche con conseguente grande dibattito sull’eutanasia e sul testamento biologico. Sappiamo tutti che Eluana Englaro,  giovane donna di Lecco, dopo un grave incidente stradale avvenuto nel 1992, è rimasta in stato vegetativo persistente fino alla sua morte nel febbraio del 2009. A seguito della richiesta del padre della donna di sospendere ogni terapia, e dopo una lunga vicenda giudiziaria, un decreto della Corte di Appello di Milano, confermato in Cassazione, ha stabilito l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione e idratazione e ha impartito delle disposizioni accessorie circa il protocollo da seguire nell’attuazione dell’interruzione del trattamento. Tra queste, oltre la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali, anche la somministrazione di sedativi e antiepilettici.  Prima e dopo la morte della donna, avvenuta nella clinica di Udine nella quale era ricoverata per dare attuazione alla sentenza il 9 febbraio 2009, la vicenda ha colpito fortemente l’opinione pubblica, spaccata in due, anche con roventi polemiche e strascichi politici. La polemica ha riguardato, oltre alle questioni etiche, scientifiche, giuridiche e politiche, anche le modalità che hanno condotto alla morte della Englaro per le quali si è parlato di eutanasia in relazione al prescritto utilizzo di sedativi.

Conosciamo tutti, attraverso la stampa e comunicazioni varie di altri casi emblematici che hanno avuto soluzioni differenti così quello di Elena Moroni.

Più precisamente il marito ingegnere Ezio Forzatti di Monza, il 21 giugno 1998 si introdusse nel reparto di terapia intensiva dove la moglie Elena Moroni, di 46 anni, si trovava ricoverata in coma irreversibile a seguito di un edema cerebrale. Egli aveva con sé una pistola scarica, che usò per minacciare il personale di servizio e tenerlo a distanza mentre staccava il respiratore che teneva in vita la moglie e, una volta accertatane la morte, si lasciò arrestare dagli agenti di polizia nel frattempo sopraggiunti. Processato, Forzatti fu condannato nel giugno 2000 dalla corte d’Assise di Monza a sei anni e sei mesi di reclusione. La richiesta del pubblico ministero era di 9 anni di reclusione, ma la corte riconobbe a Forzatti l’attenuante della seminfermità mentale. Al termine del successivo processo d’appello (aprile 2002), tenutosi a Milano, Forzatti fu ritenuto completamente in grado di intendere e di volere, e assolto perché il fatto non sussisteva. Tra le motivazioni della sentenza, decisiva fu quella secondo la quale i giudici considerarono la donna clinicamente morta al momento del distacco del respiratore. La sentenza d’assoluzione fu salutata positivamente da molti e, di converso, suscitò prevedibili polemiche da parte degli oppositori dell’eutanasia.

Diversa proiezione giuridica è stata per Giovanni Nuvoli. Questi, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica e ormai completamente paralizzato, chiese più volte ai medici che gli staccassero il respiratore artificiale che lo manteneva in vita. Il medico anestesista Tommaso Ciacca, che il 10 luglio 2007 stava per eseguire le sue volontà, fu bloccato dall’intervento dei carabinieri di Alghero e della procura di Sassari. A seguito di ciò, il 16 luglio 2007 Giovanni Nuvoli iniziò uno sciopero della sete e della fame che lo portò alla morte il 23 luglio 2007.

Il dibattito sull’eutanasia si è riproposto, alla fine del 2006, quando Piergiorgio Welby ha chiesto che gli venisse staccato il respiratore che lo teneva in vita. Welby è morto il 20 dicembre 2006 per insufficienza respiratoria sopravvenuta a seguito del distacco del respiratore a opera del medico anestesista Mario Riccio, di Cremona. Questi, in una conferenza stampa tenutasi il giorno dopo, ha confermato le circostanze della morte di Welby e si è autodenunciato.

La Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma ha avviato un’indagine sul medico. Nel frattempo, il 1º febbraio 2007 l’Ordine dei medici di Cremona ha stabilito che la condotta tenuta da Riccio è stata corretta e non è meritevole di alcuna sanzione sebbene, anche in questa occasione, la notizia non abbia mancato di suscitare polemiche. Il 23 luglio 2007 il GUP di Roma, Zaira Secchi, ha definitivamente prosciolto il medico ordinando il non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato. Secondo alcune posizioni, espresse soprattutto nella Chiesa cattolica, in questo caso, si sarebbe impropriamente tirato in ballo l’argomento “eutanasia”, in quanto la questione riguardava solamente se fosse fondata la richiesta di Welby di sospendere qualsiasi terapia che lo tenesse in vita, incluso il distacco dal respiratore artificiale, cosa che lui, immobilizzato per via della distrofia muscolare, non poteva fare. Come per il caso Englaro, il ricorso era motivato dalla lettera del citato articolo 32 della Costituzione.

A livello internazionale, e più precisamente negli Stati Uniti, ha fatto molto scalpore il caso di Terri Schiavo, in stato vegetativo persistente (PVS) dal 1990, al cui marito Michael la corte suprema dello Stato della Florida diede nel 2005 il permesso di sospendere l’alimentazione forzata. Anche in quel caso si discusse sulla correttezza dell’uso del termine eutanasia. La sospensione della terapia in casi di coma irreversibile o PVS è prassi normale negli Stati Uniti: il caso nacque perché i genitori di Terri si erano sempre opposti alla richiesta del genero, imputandola solo al suo desiderio di liberarsi della moglie. Terri divenne, suo malgrado, oggetto di battaglia ideologico-politica tra i sostenitori e gli oppositori dell’eutanasia.

A questo punto viene spontaneo chiederci cosa si intende per eutanasia, quando e se è possibile praticarla, cosa si intende per coma e quali sono i diversi gradi, come il legislatore Italiano a livello Costituzionale e a livello di codice penale va a disciplinare la materia, cosa ne pensa la Chiesa in genere e in particolare quella cattolica in tema, quali sono state e sono oggi, le varie proposte legislative sul testamento biologico. Domande queste a cui cercheremo oggi di apporre una nostra riflessione.

L’eutanasia – letteralmente buona morte (dal greco ευθανασία, composta da ευ-, bene e θανατος, morte) – è il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica.

Possono essere distinti tipi diversi di eutanasia:

  1. rispetto alle modalità di attuazione, l’eutanasia può essere attiva, qualora la morte sia provocata tramite la somministrazione di farmaci che inducono la morte – con l’utilizzo di sostanze tossiche ad esempio – oppure passiva mediante l’interruzione o l’omissione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza dell’individuo.
  2. l’eutanasia è volontaria quando segue la richiesta esplicita del soggetto. Questo è possibile quando la persona è capace di intendere e di volere oppure mediante il cosiddetto testamento biologico. L’eutanasia è definita non-volontaria nei casi in cui sia una persona espressamente designata a decidere per conto di un individuo in uno stato di incoscienza o mentalmente incapace di operare una scelta pienamente consapevole fra il vivere e il morire (come nell’eutanasia infantile o nei casi di disabilità mentale).
  3. il suicidio assistito è una forma di eutanasia attiva e volontaria in cui al suicida vengono forniti i mezzi e le competenze necessarie a porre termine alla propria vita.

Secondo il nostro legislatore è utile distinguere l’eutanasia da altre pratiche e problematiche concernenti la fine della vita:

  1. la terapia del dolore attraverso la somministrazione di farmaci analgesici, che possono condurre il malato ad una morte prematura, non è considerata una forma di eutanasia in quanto l’intenzione del medico è alleviare le sofferenze del paziente e non procurarne la morte;
  2. non si configura come eutanasia il rifiuto dell’accanimento terapeutico. Il medico, nei casi in cui la morte è imminente e inevitabile, è legittimato (in Italia sia dalla legislazione che dal proprio codice deontologico) ad interrompere o rifiutare trattamenti gravosi per il malato e sproporzionati rispetto ai risultati che è lecito attendersi;
  3. in Italia è garantita la cosiddetta libertà di cura e terapia attraverso gli articoli 13 e 32 della costituzione. In particolare l’art. 32, 2° comma, recita: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. In base a tale principio nessuna persona capace di intendere e di volere può essere costretta ad un trattamento sanitario anche se indispensabile alla sopravvivenza. Anche da un punto di vista etico la rinuncia ad un intervento necessario alla sopravvivenza si configura come suicidio e non come eutanasia;
  4. infine non si può definire eutanasia la cessazione delle cure dopo la diagnosi di morte, in particolare dopo la diagnosi di morte cerebrale.

In genere sono a favore dell’eutanasia volontaria chi vede nella scelta un fondamentale principio democratico. L’idea che il cittadino sia libero nelle sue opinioni e nel suo voto presuppone che egli sia anche sovrano su una sfera privata, dove i suoi valori di coscienza sono insindacabili. Oppure chi vede che  il dolore e la sofferenza durante una malattia può risultare incomprensibile per una persona, anche se trattata con analgesici, la decisione pertanto non può spettare ad un terzo. Pur prescindendo dal dolore fisico, spesso è difficile per i pazienti far fronte alla sofferenza psichica per aver perso la loro indipendenza. La società non dovrebbe forzarli a sopportare queste difficoltà.

I fautori contrari all’eutanasia volontaria si appellano a:

  1. Giuramento di Ippocrate ogni dottore deve giurare su qualche variante di esso, ma la versione originale esclude esplicitamente l’eutanasia;
  2. Morale: per alcune persone l’eutanasia di alcuni o di tutti i tipi è moralmente inaccettabile. Questa visione di solito vede l’eutanasia come un tipo di omicidio e l’eutanasia volontaria come un tipo di suicidio, la moralità del quale è oggetto di vivo dibattito.
  3. Teologica: molte religioni e moderne interpretazioni religiose considerano esplicitamente sia l’eutanasia che il suicidio come atti peccaminosi (vedi Eutanasia e religione).
  4. Piena consapevolezza: l’eutanasia può essere considerata “volontaria” soltanto se il paziente è pienamente consapevole per prendere la decisione, cioè, se ha una comprensione razionale delle opzioni e delle loro conseguenze. La piena consapevolezza può essere difficile da determinare o addirittura da definire.
  5. Necessità: se c’è qualche ragione per credere che la causa della malattia o della sofferenza di un paziente è o sarà presto risolvibile, a volte la cosa giusta da fare sembra quella di provare ad iniziare una nuova cura o dedicarsi a cure palliative.
  6. Desideri della famiglia: i membri della famiglia spesso desiderano passare più tempo possibile coi loro cari prima che muoiano.
  7. Pressione: tutti gli argomenti elencati a favore dell’eutanasia volontaria possono essere utilizzati dal personale ospedaliero per esercitare una pressione psicologica terribile e continua sulle persone per farle acconsentire all’eutanasia volontaria. Nei paesi con un sistema sanitario simile a quello del Regno Unito, il personale ospedaliero avrebbe degli obiettivi da raggiungere. Alcune persone vedono questa eventualità come una prospettiva terrificante.

L’eutanasia è oggetto di vivo dibattito e al centro di accese controversie in ambito morale, religioso, legislativo, scientifico, filosofico, politico ed etico.

Una prima distinzione di massima si può tracciare tra le seguenti posizioni:

  1. dal punto di vista giuridico, morale e religioso vi è chi tende a considerare l’eutanasia attiva una fattispecie assimilabile all’omicidio. Anche dal punto di vista della deontologia medica qualche complicazione concettuale sorge dalla non semplice riconducibilità dell’eutanasia attiva ai concetti fondanti della medicina, diagnosi e terapia;
  2. riguardo all’eutanasia passiva vi è chi pone in evidenza la sostanziale diversità – nel modo “naturale” con cui avviene la morte – rispetto all’eutanasia attiva (bisogna anche aggiungere, per completezza di trattazione, che molti tendono a non considerare “eutanasia” quella passiva, consistendo tale pratica – in gran parte dei casi – solo nell’astensione a praticare terapie nel pieno diritto – sancito dalla legge – da parte del malato di rifiutarle);
  3. c’è una netta tendenza alla diversità di approccio sull’argomento tra gli ambiti religioso e morale, da un lato, e quello giuridico dall’altro. Le posizioni bioetiche ufficiali della Chiesa Cattolica, ad esempio, esprimono l’idea che non vi è alcuna distinzione tra eutanasia passiva ed eutanasia attiva e che queste forme devono essere considerate moralmente identiche. Al contrario nella giurisprudenza e nel codice di deontologia medica i due casi devono essere considerati in modo nettamente diverso: la Legge, infatti, proibisce ad un medico di compiere terapie senza il consenso del paziente, quindi ulteriori limiti e divieti si possono porre solo sull’eutanasia attiva, mentre non può si può fare nulla riguardo all’eutanasia passiva che di fatto può essere “garantito” dai diritti del paziente.
  4. anche il dibattito sul c.d. “suicidio assistito” non è esente da distinguo o assimilazioni: mentre, ad esempio, esso viene considerato da taluni analogo all’eutanasia passiva (in quanto mezzo per procurare la morte), esso è una forma “intermedia” che nondimeno mantiene una sostanziale differenza rispetto all’eutanasia attiva, in quanto non prevede, da parte del soggetto assistente, alcuna partecipazione diretta alle azioni che conducono alla morte del richiedente (anche qui varrà la pena di ricordare che, comunque, la fattispecie di assistenza a un suicidio può configurarsi come reato a sé stante, come spiegato più avanti);
  5. appare largamente condivisa comunque una discriminante fra la situazione di persone che chiedono l’eutanasia in quanto malati terminali, e quelle che invece, pur non essendo prossime alla morte, la richiedono la pratica per porre fine a sofferenze insostenibili di vario tipo e non sufficientemente trattabili da alcuna terapia del dolore;
  6. altrettanto condivisa – e, in talune forme, anche recepita nella pratica giurisprudenziale e giurisdizionale – appare la discriminante tra persone che richiedano l’eutanasia in condizioni di piena capacità di intendere e di volere (indipendentemente dal fatto che abbiano la possibilità materiale di attuare praticamente il proposito, vedi il caso-Welby) rispetto a coloro che si trovino in situazioni di incoscienza irreversibile (coma, stato vegetativo persistente) e, comunque, incapaci di esprimere qualsivoglia volontà;
  7. abbastanza recepita anche nell’attività giurisdizionale appare anche la distinzione circa la preterintenzionalità o meno dell’azione che causa la morte: per esempio, il decesso sopravvenuto a causa di effetti collaterali (o sovradosaggio resosi necessario a causa di assuefazione a dosi più basse) di un farmaco, è talora trattato in maniera differente da quello che fa seguito alla somministrazione di qualsivoglia sostanza allo scopo primario di procurare la morte; talvolta più dibattuto il caso di sospensione dell’alimentazione che, a seconda degli orientamenti e dei punti di vista, può essere considerata eutanasia passiva ovvero attiva.

Posizioni politiche italiane

Nel marzo 2006 l’allora ministro italiano dei Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi dichiarò che «…la legislazione nazista e le idee di Hitler in Europa stanno riemergendo, per esempio in Olanda, attraverso l’eutanasia e il dibattito su come si possono uccidere i bambini affetti da patologie»[7]. La dichiarazione diede luogo a un contenzioso diplomatico, a seguito del quale l’ambasciatore italiano nei Paesi Bassi fu formalmente convocato dal governo[8][9] dell’Aja per dare spiegazioni. Il ministro in seguito chiarì di aver parlato a titolo personale e non a nome del governo; vari esponenti della sua coalizione hanno comunque difeso il suo pronunciamento. La dichiarazione di Giovanardi fu, altresì, oggetto di pesanti critiche, tra cui quelle di Daniele Capezzone, allora segretario dei Radicali italiani, che chiese formalmente le dimissioni del ministro, e quelle di 46 europarlamentari, che ne chiesero le dimissioni dal parlamento europeo.[8]

Il 22 settembre 2006 Piergiorgio Welby (copresidente dell’Associazione Luca Coscioni, che si batte per il diritto dei malati a decidere della propria sorte, nonché per la libertà di ricerca scientifica), affetto da distrofia muscolare, in una lettera aperta[10] al presidente della Repubblica ha chiesto il riconoscimento del diritto all’eutanasia. Napolitano ha risposto[11] auspicando un confronto politico sull’argomento.

Più in generale si poterono individuare in seno al Parlamento tre aree, trasversali agli schieramenti politici, aventi tre posizioni differenti sull’argomento-eutanasia:

  1. un’area contraria, che va da gran parte del centro-destra, che oggi forma, in maggioranza, il Popolo della Libertà (in particolare in seno ad AN, ma anche nel UDC, contraria per la propria cultura cattolica) e frange di Forza Italia e della Lega Nord) ai cattolici del centro-sinistra (l’UDEUR e La Margherita) i quali affrontano la questione dell’eutanasia secondo i principi morali (spesso di base religiosa) sui quali si fondano gli stessi partiti arrivando ad assumere una posizione fermamente contraria riguardo al problema; anche gran parte dei movimenti di destra si è detta contraria;
  2. un’area “possibilista”, costituita in gran parte dagli ex Democratici di Sinistra, la quale si trova nell’esigenza di dare risposte alla base laica del suo elettorato e al contempo convivere nella coalizione di governo con gli altri partiti, alcuni dei quali di ispirazione cattolica come la Margherita, con cui i Ds si sono uniti nel 2007 nel Partito Democratico. La posizione di quest’area (tranne sporadiche eccezioni) è quella di procedere per gradi e affrontare temi meno controversi come il testamento biologico, pur non escludendo a priori il dibattito sull’eutanasia, rimandato a un momento di minore conflittualità ideologica sulla materia. Anche alcuni esponenti della Lega Nord hanno manifestato una posizione simile.
  3. un’area favorevole, che andava dal gruppo Rosa nel Pugno (cioè gli attuali socialisti e Radicali Italiani) e la sinistra massimalista (Comunisti Italiani, Rifondazione Comunista e Verdi) fino a esponenti di entrambi gli schieramenti: liberali della coalizione di centro-sinistra ma anche di destra (Riformatori Liberali), repubblicani della coalizione di centro-destra (es. Antonio Del Pennino), laici dentro Forza Italia (es. l’ex socialista Chiara Moroni). Tale area caldeggia un dibattito sull’eutanasia e l’allineamento dell’Italia alle legislazioni europee più favorevoli all’eutanasia, segnatamente quella dei Paesi Bassi.

La battaglia delle associazioni che si battono per una regolamentazione dell’eutanasia in senso non restrittivo si rivolge, oltre che – ovviamente – sulla richiesta della sua legalizzazione, anche sulla liceità e sul valore legale della sottoscrizione, da parte di chiunque, di cosiddette “dichiarazioni” (o “direttive”) “anticipate” qualora questi, in futuro, si venisse a trovare nell’impossibilità di opinare sulle cure ricevute.

Oggi le posizioni sono rimaste pressoché le stesse.

Il Comitato nazionale per la bioetica (CNB) ha discusso ed effettuato ricerche su varie problematiche legate all’eutanasia e al rispetto delle volontà del malato. Fra i documenti del CNB più attinenti alla tematica del trattamento di quelle fasi in cui il malato non può esprimere volontà si citano:

  1. le Dichiarazioni anticipate di trattamento (talora anche chiamate Direttive anticipate) [12] del 18 dicembre 2003;
  2. Tale documento tratta la natura delle c.d. “dichiarazioni anticipate”: vi si affrontano aspetti tecnico-legali quali la validità delle stesse, la vincolatività – se cioè debbano essere considerate obbligatorie od orientative – l’efficacia delle direttive anche a distanza di anni tra la loro stesura e l’eventuale attuazione di quanto in esse disposto, l’opportunità per il dichiarante di nominare anche un fiduciario che garantisca per l’attuazione delle direttive anticipate.
  3. L’alimentazione e l’idratazione dei pazienti in stato vegetativo persistente [12] del 30/09/2005.
    In questo documento (composto poco dopo la morte di Terri Schiavo) la relazione di maggioranza (2/3)[13] descrive la PEG– Gastrostomia endoscopia percutanea (alimentazione e idratazione con sondino) come non assimilabile al caso di accanimento terapeutico.

Infine, l’eutanasia è materia d’insegnamento nei corsi di bioetica clinica, nella branca della bioetica; a partire dal (2005) sono in attivazione corsi al riguardo in tutte le facoltà di medicina italiane. Essi prevedono programmi con insegnamenti di etica allo scopo di formare degli operatori in grado di dibattere il problema con cognizione di causa.

Posizione del movimento per la difesa dei diritti dei disabili

Il movimento culturale per la difesa dei diritti dei disabili [16] ha fin dalla sua nascita negli Stati Uniti agli inizi degli anni 70 contrastato la legalizzazione dell’eutanasia [17] Sulla sua scia organizzazioni di disabili espressamente dedicate a contrastare culturalmente e politicamente l’eutanasia sono nate durante gli anni 90. È il caso della statunitense Not Dead Yet [18] e di Care Not Killing [19], una rete di oltre 40 associazioni inglesi. Posizioni analoghe sono sostenute da associazioni di disabili Svedesi [20] e Australiane [21]. Alla base del rifiuto c’è la considerazione che le motivazioni che spingono una persona all’eutanasia potrebbero essere legate più al loro status e condizione sociale che alla loro sofferenza e condizione fisica. In questo senso l’influenza negativa sulla qualità di vita della propria famiglia impegnata economicamente e personalmente nell’accudimento, lo status negativo riservato agli elementi non produttivi dalle culture occidentali e i diffusi e persistenti pregiudizi sociali potrebbero essere considerazioni sufficienti a dettare la scelta suicidaria. [22]
In seno ai favorevoli all’eutanasia vi sono differenti posizioni: vi è infatti chi ne propone la legalizzazione, altri che invece parlano di depenalizzazione. Cinzia Caporale[25], del Comitato Nazionale di Bioetica e fautrice della depenalizzazione, commentando i risultati dei sondaggi, lamentò il fatto che i medici considerino più importante la legalizzazione – con conseguente regolamentazione – dell’eutanasia piuttosto che la sua depenalizzazione, a motivo del fatto che la legalizzazione darebbe loro una protezione legale, lasciandoli invece esposti in caso di semplice depenalizzazione, laddove essi avrebbero potere discrezionale. In definitiva, secondo Cinzia Caporale, la legalizzazione sarebbe più un paravento per i medici che un aiuto per i malati. Questa riflessione sul caso specifico si spiega meglio chiarendo la posizione più ampia della Caporale in merito alla dicotomia diritto-morale.


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